29 Lug 2019 – CARABINIERI DEL SIM E STRAGE DEL CERMIS

Carissimi Amici, Soci Aderenti e Volontari,
in questo momento, mentre piangiamo il V. Brig. dei Carabinieri Mario, novello sposo e VOLONTARIO, ammazzato vilmente a Roma Prati in circostanze ben chiare, … l’ITALIA, il SETTEBELLO, ha conquistato la medaglia d’oro ai mondiali di nuoto.
Quando si fa squadra si …… vince sempre …. e questo i politici, i magistrati, i giornalisti gli ITALIANI TUTTI lo devono capire.
Unità d’intenti, di culture, di solidarietà, di accoglienza dello straniero, nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali, con integrazione secondo le nostre storie, i nostri costumi, le nostre tradizioni, ma, soprattutto, secondo la nostra CARTA COSTITUZIONALE.
Ordine, Pensiero e Azione: sapere, saper fare, saper essere!
Ecco cosa scrive il SIM CARABINIERI (Sindacato Italiano Militari Carabinieri):
“”“Dopo il morto che peccato! Siamo stanchi di piangere, stanchi di vedere famiglie distrutte e vite spezzate. Oggi a Roma e domani altrove mentre i burattinai scaldano le poltrone i burattini muoiono.”
È quanto si legge in un comunicato del segretario generale del SIM Carabinieri Antonio Serpi e del delegato Giuseppe La Fortuna.
Domani voi avrete dimenticato, noi continueremo a uscire di pattuglia pronti a sedare la prossima rissa, la prossima lite in famiglia, la prossima coltellata ricevuta. Non piangete, non serve, preparatevi alle vacanze che tanto ci siamo noi con i nostri problemi e i nostri feretri che non trovano più spazio.
A nome nostro – continua la nota – del SIM Carabinieri e di tutti quei colleghi stanchi di sopravvivere sperando di tornare a casa a fine servizio, diciamo: onori a Mario, onori ai colleghi che vanno avanti nonostante l’assenza di uno Stato che fa pubblicità sulla nostra pelle.
La vera testimonianza d’affetto arriva dalla Polizia di Stato che ha salutato i colleghi dell’Arma sfilando lentamente con 17 auto davanti il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in segno di rispetto e vicinanza per il triste lutto subito oggi.
Non fiori – conclude la nota – ma opere di bene si scrive in questi casi. Bene, io aggiungo: non lacrime ma strumenti efficaci per farci tornare a casa vivi.”
Ora evitiamo che il processo, (come altri processi: Abbattimento del DC 9 ITAVIA: strage di Ustica 27 giugno 1980 morte di 81 persone; Strage del Cermis 3 febbraio 1998 “un jet dei marines statunitensi in volo sui cieli italiani tranciò il cavo di una funivia nei pressi di Cavalese, provocando la morte di 20 persone*; la vicenda di …………. Amanda Knox: omicidio 1° novembre 2007) si faccia altrove, a discapito dei morti in territorio italiano per una serena sepoltura, con la sempre mano/assistenza indiscreta, ma forte, degli Stati Uniti!: SEMPRE VOCE GRANDE PER I PICCOLI, VOCE PICCOLA PER I GRANDI.

IL VOSTRO AMICO PRESIDENTE VOLONTARIO

Giacomo Pellegrino

*Strage del Cermis 3 febbraio 1998
“un jet dei marines statunitensi in volo sui cieli italiani tranciò il cavo di una funivia nei pressi di Cavalese, provocando la morte di 20 persone.
Venti vittime. Tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese. Nessun ferito o sopravvissuto. Alle 15.13 del 3 febbraio 1998 un aereo della marina militare americana (modello Grumman EA-6B Prowler), che stava «ufficialmente» compiendo un volo di esercitazione sopra le Alpi trentine, tranciò i cavi della funivia del Cermis, nei pressi di Cavalese, in Val di Fiemme, facendo precipitare nel vuoto — in sette secondi (sette)— una cabina con a bordo venti persone. L’aereo, alla cui guida erano il capitano Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer (mentre dietro erano seduti l’addetto ai sistemi di guerra elettronica William Rancy e l’addetto ai sistemi di guerra elettronica Chandler Seagraves), era decollato dall’aeroporto militare di Aviano, in quegli anni utilizzato come punto di appoggio per le esercitazioni che si svolgevano durante la guerra in Kosovo. Ashby e Schweitzer, violando le norme del regolamento, volarono ad alte velocità a bassa quota, portandosi a bordo, come confessato anni dopo dal capitano, una videocamera per fare delle riprese amatoriali (qui il ricordo sul blog del Corriere «Poche Storie»).
Le indagini sul caso
Quattro giorni dopo l’incidente, il presidente Usa Bill Clinton, garantì che avrebbe portato avanti un’inchiesta per accertare le responsabilità. In un precedente colloquio con l’allora presidente del consiglio italiano, Romano Prodi, Clinton fu messo davanti alla possibilità di perdere l’importante base di Aviano. Del caso fu incaricato l’investigatore Mark Fallon del Naval Criminal Investigative Service — l’agenzia della Marina che si occupa dei casi riguardanti il corpo dei Marines—. Fallon interrogò, casa per casa, i cittadini di Cavalese in cerca di testimonianze utili. Il generale Mike DeLong decise, poi, di inserire nell’inchiesta una commissione dei Marines stessi, che avrebbe redatto il rapporto finale. Finirono sotto processo solo il pilota e il navigatore, mentre Raney e Seagraves vennero giudicati non colpevoli perché non erano ai comandi e avevano scarsa visibilità delle manovre. Il giudizio si tenne a Camp Lejeune, nella Carolina del Nord, volto solo a non scalfire l’immagine dei Marines.
Il tentativo di depistaggio
Ancora oggi la vicenda del Cermis è associata a uno dei capitoli più neri della storia del nostro Paese. Il secondo, dopo quanto avvenuto a Sigonella nel 1985, a creare un incidente diplomatico fra Italia e Stati Uniti. Perché fu chiarito che l’errore umano dei piloti fu accompagnato da una «leggerezza» nell’attuazione dei protocolli di volo. Nonostante le prove di un’indagine rigorosa, i responsabili furono condannati, tardivamente, a pene leggere per la morte di venti persone. Nonostante i gravi danni riportati, il velivolo statunitense riuscì a ritornare alla base di Aviano, a circa 90 chilometri dal luogo dell’incidente. La Procura di Trento pose sotto sequestro il velivolo dopo aver appurato che un frammento di cavo era rimasto incastrato nella fusoliera. Una mossa provvidenziale, che evitò un presunto tentativo di depistaggio. I pm italiani chiesero di poter processare nel nostro Paese i quattro membri dell’equipaggio, ma l’istanza venne respinta dal gip di Trento che dovette riconoscere la Convenzione di Londra del 1951 sullo status dei militari Nato e trasferire le carte al giudice statunitense (con un particolare riferimento all’articolo VII, che conta di 11 punti).
Le conclusioni degli investigatori
La difesa dei quattro marines si basava sul malfunzionamento dell’altimetro di bordo che, a detta dei legali, non avrebbe segnalato al pilota la discesa sotto la quota consentita. L’altitudine e la velocità da rispettare durante il volo erano rispettivamente di 305 metri e di 830 chilometri orari. Per cercare di far chiarezza su questi due dati, Fallon interrogò diversi testimoni oculari, che riferirono di aver visto l’aereo estremamente basso. Poi passò all’esame dell’altimetro del jet che, contrariamente alla versione dei piloti, non presentava guasti. Non solo, i tabulati di volo dimostrarono come Ashby avesse più volte superato la velocità massima. A bordo del velivolo venne anche ritrovata una telecamera amatoriale, ma la cassetta risultava contenuta all’interno risultava non essere registrata.
La questione dei risarcimenti
Fu allora chiaro che erano state insabbiate e distrutte prove che potessero incolpare i due militari, come appunto il video girato durante il volo, bruciato il giorno dell’incidente dallo stesso Ashby e sostituito con un nastro vuoto inserito nella telecamera. Il tribunale dette, però, ragione ai piloti che puntarono la loro difesa sull’assenza della funivia sulle mappe e sulla non conoscenza delle restrizioni alla velocità e li assolse nel marzo del 1999. Nuovamente giudicati dalla corte marziale Usa a maggio 1999, con l’accusa di intralcio alla giustizia (avendo appunto distrutto il nastro che documentava la manovra spericolata), vennero riconosciuti colpevoli, degradati e rimossi dal servizio. Il pilota viene condannato a sei mesi di detenzione, ma dopo quattro tornò in libertà per buona condotta. I risarcimenti ai familiari, inizialmente fissati a 40 milioni di dollari da parte del governo di Washington, ricaddero sulle spalle delle amministrazioni della provincia autonoma di Trento e dello Stato italiano e solo successivamente vennero rimborsati in parte (per il 75 per cento) da oltre oceano, come previsto dagli accordi bilaterali.
L’inchiesta del National Geographic
Nel gennaio del 2012 un’inchiesta del National Geographic fece luce su alcuni retroscena della tragedia, mostrando anche un video con la confessione inedita di Schweitzer, che spiegò di aver distrutto il video per impedire che si arrivasse alla verità: «Ridevano e fotografavano le montagne, il paesaggio splendido del lago di Garda. Mentre l’ aereo violava le regole, volando troppo basso e troppo veloce, giravamo un video ricordo delle Alpi: un souvenir per il pilota, all’ultima missione prima di tornare negli Stati Uniti. Quando ci hanno detto che avevamo ucciso così tante persone ho pianto come un bambino. Mi sono chiesto perché noi siamo vivi e loro sono morti. Ho bruciato la cassetta. Non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime». Alla fine il caso si chiuse con la vittoria della linea della difesa, secondo la quale il Corpo dei Marines venne giudicato responsabile della carenza di addestramento dell’equipaggio che non era stato informato delle nuove regole da seguire per il volo a bassa quota. Il capitano Ashby fu ritenuto non colpevole per il disastro. Per la distruzione del nastro, però, venne condannato a sei mesi con l’accusa di ostruzione alla giustizia e, insieme a Schweitzer, radiato con disonore dai Marines.

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